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La tutela della salute cardiovascolare passa non solo dal controllo delle calorie assunte, ma soprattutto dalla qualità degli alimenti consumati, con un particolare focus sulla riduzione del consumo di cibi ultraprocessati (UPF). Due recenti studi presentati al congresso Nutrition 2025, tenutosi a Orlando, hanno approfondito il legame tra gli UPF e la salute del cuore, evidenziando come la scelta di alimenti poco lavorati e di origine prevalentemente vegetale sia determinante per ridurre il rischio di patologie coronariche.
I ricercatori della Chan School of Public Health dell’Università di Harvard hanno analizzato i dati di oltre 200.000 partecipanti coinvolti in due ampi studi longitudinali, condotti tra il 1986 e il 2018 su infermiere e personale medico maschile. Grazie all’ampia disponibilità di esami clinici e di laboratorio, è stato possibile correlare con precisione le abitudini alimentari con lo stato di salute cardiovascolare.
Gli studiosi hanno classificato le diete in base alla qualità degli alimenti: quelle ricche di vegetali freschi, fibre, frutta secca e legumi sono state considerate di alta qualità, mentre le diete contenenti prevalentemente patate, proteine animali lavorate e farine raffinate sono state valutate come di bassa qualità, pur mantenendo costanti calorie, carboidrati e grassi. Il risultato ha mostrato che chi seguiva una dieta di buona qualità ha registrato una riduzione del 15% del rischio di malattie coronariche e migliori parametri metabolici rispetto a chi consumava alimenti di qualità inferiore.
Gli esperti sottolineano quindi l’importanza di attenersi alle linee guida nutrizionali, privilegiando alimenti poco processati e di origine vegetale, e di leggere attentamente le etichette per identificare e limitare la presenza di zuccheri aggiunti, sale, grassi saturi e additivi spesso presenti negli ultraprocessati, che sono dannosi per il sistema cardiovascolare.
Uno degli aspetti più insidiosi degli UPF è la loro texture, studiata ad arte per favorire un rapido consumo e una maggiore assunzione calorica. Questo fenomeno è stato al centro di un secondo studio condotto dall’Università di Wageningen (Paesi Bassi), che ha coinvolto circa 40 volontari. I partecipanti hanno seguito due diete composte per il 90% da alimenti ultraprocessati identici per porzioni e densità calorica, ma differenziati dalla consistenza: una con texture che richiedeva una masticazione lenta per apprezzare il sapore, l’altra con consistenza che stimolava un rapido consumo.
I risultati sono stati chiari: la dieta con texture “lenta” ha portato a un consumo calorico inferiore di circa 369 calorie al giorno rispetto a quella con texture “veloce”, con un risparmio calorico di quasi 5.000 calorie in due settimane. Nonostante la differenza nel consumo, i partecipanti non hanno percepito variazioni significative nella sazietà o nella soddisfazione, evidenziando quanto sia difficile riconoscere e controllare l’assunzione di alimenti progettati per essere consumati rapidamente.
Gli autori invitano le aziende alimentari a sviluppare prodotti ultraprocessati con texture che non favoriscano il sovraconsumo, pur mantenendo elevati livelli di gradimento sensoriale. Tuttavia, questo comporterebbe, per i produttori, una riduzione delle vendite, rendendo improbabile un cambiamento spontaneo nel settore industriale.
La lotta contro i cibi ultraprocessati si conferma quindi un elemento cruciale nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, richiedendo una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori e un impegno più responsabile da parte dell’industria alimentare.