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In calo nel resto d’Europa, ma da noi aumenta. E la qualità della carne – e della filiera – è a rischio
Non è una notizia da dispensa, ma potrebbe finire per influenzare ciò che troviamo nel piatto: la peste suina africana torna a far parlare di sé, e purtroppo non in termini rassicuranti. Mentre gran parte dell’Europa tira un sospiro di sollievo per un calo dell’83% dei focolai nei suini allevati, l’Italia e la Polonia rimangono le due eccezioni che fanno discutere, secondo l’ultimo rapporto dell’EFSA aggiornato al 2024.
Se da un lato c’è la Svezia, che esce ufficialmente dalla lista dei Paesi colpiti, dall’altro c’è il nostro Paese che continua a occupare una posizione scomoda nella mappa del contagio, in particolare con nuovi casi nel Nord Italia, tra Lombardia e Liguria, che minano la serenità degli allevatori e degli artigiani del gusto.
A essere colpiti non sono solo i piccoli produttori: nel nostro caso, a differenza della media europea, i focolai si sviluppano soprattutto in allevamenti medio-grandi, quelli che spesso alimentano le filiere certificate, i prodotti DOP e IGP e tutta quella tradizione norcina italiana che affonda le radici nel rispetto per la materia prima.
Sappiamo che la peste suina africana non si trasmette all’uomo e non compromette la sicurezza alimentare, ma ha un impatto devastante su un’intera economia fatta di piccoli produttori, salumifici, prosciuttifici, mercati rionali e sagre di paese. Tradotto in termini più “gastronomici”: meno allevamenti sani, meno disponibilità di carne italiana di qualità, più spazio per importazioni e materie prime di dubbia provenienza.
Come se non bastasse, il virus continua a circolare anche tra i cinghiali selvatici, con una percentuale di positività preoccupante tra le carcasse ritrovate nei boschi italiani. Un dato che tocca da vicino anche chi lavora con carni di selvaggina, ristoratori compresi, e che accende i riflettori sull’importanza della tracciabilità e della vigilanza veterinaria.
L’EFSA consiglia di rafforzare la sorveglianza passiva, ovvero i controlli su animali già morti o che presentano sintomi sospetti, in modo da isolare tempestivamente i casi e tutelare gli allevamenti sani. Anche le campagne di informazione per allevatori e veterinari diventano essenziali, così come un sistema di raccolta dati armonizzato a livello europeo, per capire dove intervenire e come evitare che la malattia si espanda.
Quella della peste suina africana non è solo una faccenda zootecnica, ma un tema che tocca da vicino chi ama la cucina italiana. Dietro ogni salame, lonza, coppa o fetta di prosciutto c’è una filiera fatta di mani, territori, tradizioni. Difendere i suini sani significa difendere il futuro dei nostri sapori, la qualità di ciò che portiamo in tavola e il legame – profondamente culturale – che l’Italia ha con il cibo.
Un motivo in più per informarsi, sostenere chi lavora con trasparenza e pretendere sempre una tracciabilità chiara, dalla stalla al tagliere.