Nel cuore di Torino, tra strade che profumano di storia e quartieri che custodiscono l’eleganza sabauda, si nasconde un luogo che sfida ogni schema della ristorazione classica. Non è il solito locale dove scegliere da un menu infinito, né una sala affollata di tavoli.
Qui si entra soltanto in dieci, ci si siede attorno a un bancone e si lascia che la serata diventi un racconto guidato, fatto di piatti che sorprendono e di emozioni che restano. È un’esperienza intima, esclusiva, quasi sospesa, dove il tempo sembra dilatarsi e l’atto del mangiare si trasforma in un rito collettivo.
Un format che rompe le regole
In questo ristorante torinese non c’è spazio per la routine. Nessuna carta da sfogliare, nessun ordine da fare. I dieci ospiti condividono un unico percorso, scandito da piatti serviti in contemporanea, quasi come le scene di uno spettacolo. Al centro non c’è la distanza tra cucina e sala: chi prepara le portate è lo stesso che le racconta, che le serve, che accompagna i commensali durante tutta l’esperienza.
La scelta dei soli dieci posti non è un vezzo, ma la chiave di volta dell’intero progetto. La vicinanza crea un’atmosfera familiare e complice, in cui gli ospiti diventano protagonisti insieme allo chef e alla sua brigata. Ogni gesto, ogni parola, ogni piatto arriva con la stessa intensità, creando una connessione che va ben oltre il semplice atto del mangiare.
La filosofia di questo luogo esclusivo è chiara: ribaltare la gerarchia che da sempre domina la cucina tradizionale. Qui non sono la carne o il pesce a comandare, ma le verdure, trattate con la stessa cura che si riserva agli ingredienti più preziosi. Il concetto è sorprendere attraverso la semplicità, dimostrando che un peperone, una cipolla o un finocchio possono emozionare quanto un filetto o una capasanta.
Il menu cambia seguendo le stagioni e mette in scena abbinamenti audaci, capaci di stupire senza mai forzare. Un piatto a base di peperoni e acciughe diventa un viaggio nella tradizione piemontese, mentre una parmigiana di melanzane viene scomposta e ricomposta per esaltare la forza del vegetale. Ci sono i tajarin ai porcini, serviti senza posate per recuperare un gesto primordiale, e dolci che giocano con aromi erbacei, frutta e spezie, chiudendo il percorso in leggerezza.

Il nome che dice tutto
Chi varca questa porta scopre che il ristorante porta un nome programmatico: Unforgettable. Un titolo che non è semplice dichiarazione, ma promessa mantenuta. Ogni sera il bancone accoglie dieci persone, ognuna delle quali vive un’esperienza che difficilmente potrà dimenticare. Non si tratta solo di piatti ben eseguiti, ma di un vero e proprio viaggio che mescola emozione, sorpresa e condivisione.
La cucina è pensata come un dialogo, un modo per spostare l’attenzione dal piatto singolo al racconto complessivo. Le proteine animali compaiono, ma restano a margine, quasi a fare da cornice al mondo vegetale che è il vero protagonista.
Una chiusura che resta nel cuore
Uscendo da questo luogo, ci si porta via molto più di una cena. Si conserva il ricordo di un bancone condiviso, di sguardi complici tra sconosciuti che per qualche ora sono diventati compagni di viaggio, di piatti che hanno costretto a cambiare prospettiva. A Torino, città che ama custodire segreti dietro facciate eleganti e portoni discreti, un ristorante come questo diventa un piccolo gioiello da scoprire.
Solo dieci posti ogni sera, un menu che non si legge ma si vive, una cucina che mette le verdure al centro e che regala emozioni indelebili. E un nome che racchiude tutto: un’esperienza davvero indimenticabile.