Nuove ricerche mettono in discussione il ruolo del glutine nei sintomi dell’IBS e sottolineano l’importanza di diagnosi accurate e strategie personalizzate per i pazienti
La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) rappresenta una condizione diffusa, che interessa circa il 10% della popolazione, caratterizzata da sintomi quali dolore addominale, gonfiore, diarrea o stitichezza, spesso senza riscontri obiettivi agli esami clinici. Tra i cibi più sospettati di aggravare i disturbi gastrointestinali vi è il glutine, ma studi recenti mettono in discussione la reale responsabilità di questa proteina nei sintomi dell’IBS.
L’effetto nocebo e la percezione del glutine nell’IBS
Secondo una ricerca condotta dall’Università McMaster di Hamilton, pubblicata su Lancet Gastroenterology & Hepatology, molte persone con diagnosi di colon irritabile evitano spontaneamente il glutine convinte che ne sia la causa dei loro disturbi. Tuttavia, lo studio ha evidenziato come spesso si tratti di un effetto nocebo: i sintomi risultano influenzati dalla convinzione negativa, piuttosto che da un reale danno biologico causato dall’assunzione di glutine.
Nel trial, trenta pazienti con IBS che avevano già eliminato il glutine dalla dieta sono stati sottoposti a un test in doppio cieco: per tre settimane hanno consumato barrette identiche nell’aspetto ma contenenti farina con glutine, farina senza glutine, o farina di grano integrale. I risultati hanno mostrato che non vi erano differenze significative nella gravità dei sintomi tra i vari gruppi, confermando l’assenza di un effetto diretto del glutine sulle manifestazioni intestinali. È stato inoltre osservato che la correlazione tra aspettative e sintomi era più forte del legame reale con il glutine.
Nuove evidenze sulla sensibilità al glutine non celiaca
Un aspetto che amplia il quadro è stato approfondito dallo studio Glutox, promosso dall’Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti Ospedalieri (AIGO) e condotto presso il Policlinico di Milano. Qui si è osservato che circa il 25% dei pazienti diagnosticati con IBS potrebbe in realtà soffrire di sensibilità al glutine non celiaca (NCGS), una condizione distinta sia dalla celiachia sia dall’allergia al frumento, ma con sintomi simili che migliorano con una dieta priva di glutine.
La NCGS si presenta come una forma di intolleranza transitoria, più frequente nelle donne tra i 25 e i 45 anni, con sintomi meno intensi rispetto alla celiachia e che possono includere anche manifestazioni extraintestinali come cefalea ed eczemi. La diagnosi resta però complessa e basata soprattutto sull’esclusione della celiachia e dell’allergia, seguita da un periodo di dieta gluten-free e una successiva reintroduzione controllata.
L’importanza di un approccio multidisciplinare e personalizzato
Gli studi più recenti evidenziano la necessità di un approccio che consideri non solo l’aspetto alimentare, ma anche quello psicologico. La sindrome dell’intestino irritabile è infatti influenzata da fattori psicosomatici, e interventi di terapia cognitivo-comportamentale, meditazione e yoga hanno dimostrato di migliorare significativamente i sintomi.
Inoltre, l’errata esclusione prolungata e non guidata di alimenti può portare a disturbi alimentari come l’ortoressia. Per questo motivo, oltre alle cure mediche tradizionali, è fondamentale un supporto psicologico adeguato, volto a gestire le convinzioni errate e lo stigma legato al glutine.
Nuove prospettive di ricerca: il ruolo del microbiota intestinale
Un filone emergente riguarda lo studio del microbiota intestinale come possibile mediatore dei sintomi gastrointestinali nei pazienti con IBS o sensibilità al glutine. Alterazioni nella flora batterica potrebbero influenzare la fermentazione degli oligosaccaridi e disaccaridi presenti nei cereali contenenti glutine, contribuendo ai sintomi. Questi dati suggeriscono una possibile direzione per future terapie mirate, che affianchino la dieta e gli interventi psicologici a modulazioni della flora intestinale.
Il complesso intreccio tra fattori alimentari, psicologici e microbiologici rende evidente come la gestione della sindrome dell’intestino irritabile debba essere necessariamente personalizzata, evitando generalizzazioni e garantendo un percorso diagnostico-terapeutico multidisciplinare.