Una ricerca di Microsoft rivela quali professioni saranno cancellate dall’intelligenza artificiale e consiglia di puntare su mestieri manuali (e insoliti).
C’erano una volta i venditori di ghiaccio, quelli con i contenitori in zinco che portavano il freddo nelle case quando i frigoriferi erano un lusso. Poi sono arrivati i frigoriferi, appunto, e i venditori sono spariti. Ora, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, la storia sembra ripetersi. Solo che stavolta nel mirino non ci sono figure marginali, ma interi settori professionali, soprattutto quelli legati alla conoscenza e all’informazione. A lanciare l’allarme è Microsoft, che ha analizzato le domande rivolte al suo chatbot Bing Copilot per determinare quali ruoli rischiano di diventare inutili.
Il risultato è una classifica basata su un punteggio chiamato “AI Applicability Score”. Più il punteggio è alto, maggiore è la probabilità che l’AI possa sostituire l’essere umano. E qui le notizie non sono buone: in cima ci sono traduttori e interpreti, seguiti da assistenti di viaggio e storici. In pratica, tutti quei lavori che richiedono una forte componente informativa ma poco intervento fisico. L’intelligenza artificiale può già tradurre, scrivere, correggere e riformulare contenuti in tempo reale, senza stancarsi, senza fare pausa caffè e senza chiedere aumenti. I mestieri dell’“economia della conoscenza” tremano.
L’intelligenza artificiale spazza via i lavori da scrivania: salvi solo quelli con le mani in pasta
E allora cosa resta? Secondo Microsoft, paradossalmente, il futuro è nelle mani dei lavori più pratici, quelli che implicano competenze manuali difficilmente replicabili da un software. In fondo alla classifica dei ruoli a rischio si trovano infatti professioni che nessuno avrebbe mai inserito in una lista di mestieri del futuro: levigatori di pavimenti, tecnici di motoscafi, addetti allo smaltimento dei rifiuti pericolosi. E sì, anche imbalsamatori.

È un cambio di paradigma piuttosto brusco, che spinge a riflettere su come reindirizzare studi, percorsi e ambizioni. Non è solo questione di tecnologia: è questione di adattamento, di capire dove l’AI può arrivare e dove invece ha ancora le braccia troppo corte. Bill Gates, ospite del Tonight Show di Jimmy Fallon, aveva già anticipato questo scenario: secondo lui in futuro lavoreremo solo due giorni a settimana, ma non tutti avranno la fortuna di avere ancora un impiego. Solo programmatori, ricercatori e operatori del settore energia possono dormire tranquilli, almeno per ora.
Microsoft, del resto, parla con cognizione di causa. È la big tech che più di tutte ha monetizzato l’intelligenza artificiale, registrando un +39% sulle vendite del suo servizio cloud Azure, grazie proprio all’integrazione di sistemi come Copilot, oggi utilizzato da oltre 100 milioni di utenti. Con questi numeri, non stupisce che anche le autorità europee abbiano deciso di intervenire: dal 2 agosto è entrato in vigore il nuovo AI Act, un insieme di regole pensate per arginare gli eccessi dell’intelligenza artificiale. Le sanzioni possono arrivare fino a 15 milioni di euro per chi ne fa un uso illecito o manipolativo.
Meglio levigare pavimenti che scrivere articoli? Forse sì, ma non tutto è perduto
Che il mondo del lavoro stia cambiando è evidente. Ma che tutto debba diventare un’Apocalisse di algoritmi è forse un’esagerazione. Se da un lato è vero che alcune professioni rischiano di venire travolte, è altrettanto vero che ne nasceranno di nuove. Saper usare l’AI sarà importante quanto saperla combattere, o affiancare. I lavori non spariranno tutti, ma cambieranno forma, strumenti, linguaggio.
E se proprio dovesse andare male, come suggerisce con una punta di sarcasmo l’autore della ricerca, c’è sempre spazio per reinventarsi. Magari come imbalsamatori. D’altronde, l’ironia serve anche a ricordarci che la tecnologia corre, sì, ma il modo in cui la affrontiamo è tutto ancora da scrivere.