Gli italiani continuano a preferirle nonostante il rincaro: più comode, ma anche molto più care del prodotto sfuso
Il consumo di insalate pronte in busta continua a salire, anche se i prezzi hanno toccato livelli elevati. In alcuni casi, il costo al chilo supera i 27 euro, ben oltre quello di verdure fresche sfuse, che in media restano sotto i 3 euro/kg. Il confronto tra i due formati evidenzia una distanza economica significativa, ma non sembra aver rallentato le vendite. Anzi, i prodotti di IV gamma — così vengono chiamati nel settore ortofrutticolo — hanno generato, solo nei primi cinque mesi del 2025, un giro d’affari superiore ai 440 milioni di euro, secondo le rilevazioni di NielsenIQ.
La preferenza per questi prodotti nasce da motivazioni chiare: risparmio di tempo, praticità, zero sprechi. Le confezioni pronte, già lavate e porzionate, risultano comode sia in casa che fuori. In più, l’industria sottolinea il minore impatto ambientale della filiera produttiva grazie a impianti fotovoltaici, agricoltura a basso impatto, e un uso limitato di pesticidi e acqua.
Le insalate in busta costano anche dieci volte di più rispetto al fresco
A Milano, tra Carrefour, Esselunga e Ipercoop, il divario di prezzo tra il fresco e l’imbustato è evidente. Secondo l’Osservatorio Prezzi e Tariffe aggiornato a maggio 2025, una lattuga romana fresca si acquista anche a 1,78 €/kg, l’iceberg a 1,48 €/kg. Il confronto con i prodotti confezionati è netto: la rucola in busta raggiunge 23,90 €/kg, il songino 21,90 €/kg, fino alla Rustichella della linea Bio di Terra e Vita che tocca i 27,20 €/kg. Nei supermercati Esselunga la linea Naturama propone misticanze e cuori di lattuga a prezzi variabili tra i 6,60 e i 15,84 €/kg, mentre Ipercoop propone il Gran Mix Bonduelle a 14,90 €/kg.
Nel 2023, le insalate certificate bio si trovavano ancora tra gli 11 e i 14 €/kg, oggi sono aumentate fino a raddoppiare. La dinamica non ha fermato però la crescita dei volumi: solo tra gennaio e maggio 2025, le vendite hanno segnato un incremento del 2,3% nelle verdure di IV gamma (422 milioni di euro) e del 7% nella frutta (17 milioni).

Il prezzo elevato, dunque, non sembra essere un deterrente. È la comodità, ancora una volta, a prevalere. Non a caso, in un’indagine del 2024 condotta da AstraRicerche per Unione Italiana Food, i principali motivi d’acquisto segnalati dagli italiani erano tempo risparmiato, facilità nel consumo fuori casa, e riduzione degli scarti.
Comodità e igiene, ma il rischio microbiologico non si azzera mai
Le insalate in busta rientrano tra i prodotti pronti al consumo, quindi vengono mangiate crude, senza ulteriore cottura o sanificazione. Il Regolamento CE n. 2073/2005 impone specifici standard microbiologici. Eppure, come spiegato da uno studio del 2023 pubblicato su Trends in Food Science & Technology, a cui hanno collaborato anche ricercatori del CNR e del CREA, azzerare il rischio biologico è statisticamente impossibile. Il pericolo può annidarsi in diverse fasi della filiera: dalla coltivazione al confezionamento, fino allo stoccaggio e al trasporto.
Le tecniche di coltivazione fuori suolo, come l’idroponica, possono abbattere alcuni fattori critici legati a suolo e fertilizzanti animali, ma l’acqua resta il punto debole. Nei sistemi a ricircolo, basta un errore per amplificare la contaminazione. Per mantenere alta la sicurezza alimentare, la catena del freddo va rispettata con attenzione: in lavorazione la temperatura è tra i 4 e i 5°C, mentre a casa si raccomanda di conservare le buste tra i 6 e gli 8°C. Anche il tragitto dal supermercato al frigorifero non andrebbe sottovalutato: una borsa frigo è utile per evitare sbalzi termici.
L’attrattiva del prodotto, nonostante i margini di rischio, resta forte. Per molti, anche la gestione casalinga migliora: le verdure già lavate fanno risparmiare acqua e riducono gli scarti domestici. In chiave ambientale, le aziende del settore dichiarano di seguire pratiche sostenibili e di reinserire gli scarti di lavorazione nel ciclo produttivo, ad esempio per l’alimentazione animale.
Il punto, però, rimane aperto: quanti consumatori sono consapevoli della differenza di prezzo tra insalata sfusa e confezionata? E, sapendolo, quanti sarebbero ancora disposti a pagare fino a dieci volte tanto in cambio di qualche minuto risparmiato?