Da oggetti da collezione a simboli virali: i Labubu valgono miliardi e stanno riscrivendo le regole del giocattolo.
Spuntano dalle borse, affollano gli unboxing su TikTok, vengono trattati come amuleto personale. I Labubu, piccoli pupazzi nati da un disegno con tratti semplici e grotteschi, sono diventati in meno di due anni un fenomeno virale globale. A produrli è la cinese Pop Mart, società quotata a Hong Kong, che ha visto crescere il valore delle sue azioni di oltre il 1.000% dal 2024 a oggi. Chi aveva investito 1.000 dollari a gennaio dell’anno scorso, ora ne avrebbe oltre 13.000.
Il cuore di tutto è un’intuizione: trasformare l’esperienza di acquisto in rito collettivo, alimentato da scatole a sorpresa, design illustrativo e una comunicazione social-first. I pupazzi si vendono in confezioni anonime, chi compra non sa cosa trova, e ogni apertura è un momento da condividere. Proprio come si faceva, anni fa, con le figurine introvabili.
Fatturato esploso in un anno: i numeri impressionanti della casa madre Pop Mart
Nel 2020 Pop Mart fatturava 2,5 miliardi di renminbi (circa 300 milioni di euro). Nel 2023 era arrivata a 6,3 miliardi, ma è stato il 2024 a segnare un’esplosione: il bilancio parla di 13 miliardi di RMB in entrate (oltre 1,5 miliardi di euro), e un utile netto triplicato, da 1 a 3,1 miliardi di renminbi. Il merito? In gran parte proprio dei Labubu, che in dodici mesi hanno moltiplicato per dieci il loro peso nel bilancio, passando da 367 milioni di RMB a oltre 3 miliardi (da 44 a 400 milioni di euro).

Nel 2023 rappresentavano appena il 5,8% dei ricavi, oggi il 23,3%. E secondo Pop Mart, il trend non si ferma: nel primo semestre 2025 si stima una crescita di almeno il 200% sul fatturato e del 350% sull’utile netto, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Ma più che i numeri, è il modello ad aver attirato l’attenzione degli analisti: collezionismo cieco, estetica trash voluta, scarsità artificiale. Ingredienti noti, ma aggiornati all’immaginario GenZ e amplificati da TikTok e influencer. Un meccanismo simile a quello dei Beanie Babies degli anni ’90, come ha ricordato Federica Brumen, che ha studiato il fenomeno per LinkedIn Notizie.
Più virali delle Barbie: i Labubu conquistano i kidult e riscrivono le regole del marketing
L’impatto è talmente forte che secondo Payden & Rygel, Pop Mart ha superato in capitalizzazione due giganti storici del giocattolo: Mattel (Barbie) e Hasbro (Hot Wheels, Play-Doh). Il pubblico non è fatto solo di bambini, ma anche e soprattutto di kidult: adulti che si concedono oggetti pensati per l’infanzia, con un forte carico emotivo e nostalgico.
Massimo Benedetti, co-fondatore di Humanist Life, parla di “un ritorno del portafortuna da tasca, dell’oggetto simbolico a cui aggrapparsi”. Ma anche di una rivoluzione strategica: “Pop Mart ha ripreso l’arte del collezionismo e l’ha trasformata in contenuto social. L’acquisto è incerto, ma proprio per questo diventa storia da raccontare”. E aggiunge: “Tutti vogliono il Labubu raro, ma nessuno sa se lo troverà. Ogni acquisto è una scommessa, un’esperienza”.
Non a caso, anche il mondo dell’alta moda guarda al fenomeno. Louis Vuitton ha affidato a Pharrell Williams la creazione di Louis Bear, un orsacchiotto pensato per rispondere al successo Pop Mart. Per qualcuno è una provocazione, per altri un segno che il futuro del branding passa per le emozioni infantili.
Intanto, nel mondo reale, i Labubu continuano a spuntare dalle tasche di studenti, zaini di ventenni e scrivanie d’ufficio. Piccoli mostri che non fanno paura, ma riassumono il bisogno di gioco, ritualità e identità in una società iperconnessa.