Nel piccolo negozio “Perù Alimenta” di Milano, Antonio Manzo tiene sempre una bottiglia di Inca Kola accanto al bancone. Quando la apre e ne beve un sorso, per i clienti è come un ponte diretto con Lima. Non è solo una bibita gialla e zuccherina: è un pezzo di identità nazionale che nel 2025 festeggia i suoi novant’anni di storia, durante i quali è riuscita a sfidare la potenza globale della Coca Cola e a diventare simbolo del Perù.
Il gusto dell’identità
Dietro al bancone, Manzo conserva intere casse della bevanda, richiesta soprattutto dai clienti peruviani che frequentano il suo negozio. Gli italiani, racconta, preferiscono prodotti come quinoa e tè matcha, mentre l’Inca Kola resta una scelta di cuore per chi è cresciuto con il suo sapore. Seduto su un cajón, lo strumento musicale tradizionale del suo Paese, il commerciante descrive la bibita come una specialità ancora da scoprire. “Il dolce è dolcissimo, proprio come il piccante della nostra cucina”, scherza, ricordando come i gusti forti siano parte integrante della cultura gastronomica peruviana.
Le origini dell’Inca Kola risalgono agli anni Trenta
La storia della Inca Kola comincia a Lima nel 1935, quando l’immigrato inglese Joseph Robinson Lindley decise di creare una nuova bibita. Il successo arrivò subito nelle bodegas, i piccoli negozi alimentari gestiti soprattutto dalla comunità giapponese, dove le bottiglie gialle con etichetta blu divennero presto un punto di riferimento. Negli anni successivi la bevanda conquistò anche la televisione, con campagne pubblicitarie che esaltavano l’orgoglio nazionale e richiamavano l’eredità degli Inca. «È stato uno dei primi marchi a legarsi al concetto di Peruanidad, cioè al senso di identità collettiva dei peruviani», ha ricordato il docente di marketing Andrés Macara-Chvili della Pontificia Università Cattolica del Perù.
La rivalità con la Coca Cola
Quando la Coca Cola cominciò a esportare le sue bottiglie in Perù, gli scaffali si riempirono di etichette americane e peruviane, in un confronto diretto per conquistare le tavole della popolazione. Ma la Seconda Guerra Mondiale cambiò gli equilibri: la multinazionale statunitense, in rotta con la comunità giapponese, decise di escluderla dalla propria rete commerciale. Fu così che nelle bodegas rimase solo l’Inca Kola, che consolidò la propria posizione fino a diventare il simbolo di un legame profondo tra i peruviani e la comunità nipponica. Nel dopoguerra, la Coca Cola non riuscì più a scalfire la supremazia della bibita nazionale.
Dalla crisi alla cessione
Il primato dell’Inca Kola resistette fino alla fine del Novecento. Nel 1999, soffocata dai debiti, la famiglia Lindley fu costretta a cedere parte del marchio e della società produttrice alla Coca Cola. Per il colosso americano fu l’occasione di conquistare un mercato rimasto a lungo refrattario. Eppure, nonostante l’ingresso del gigante statunitense, per i peruviani la bevanda non ha mai perso il suo significato originario: continua a essere percepita come autenticamente nazionale.
Un simbolo che resiste
Oggi l’Inca Kola si trova non solo in Perù, ma ovunque esistano comunità latinoamericane. Manzo racconta che viene venduta anche in negozi gestiti da pakistani, cinesi e arabi. A Milano, ogni mese arrivano container carichi di bottiglie: circa 52.800 unità distribuite nei vari punti vendita della città. Per chi è lontano da Lima, aprire una lattina o una bottiglia di Inca Kola significa rivivere un frammento di casa. Un sorso che riporta alle radici e che testimonia come, dopo novant’anni, la “bibita del Perù” resti molto più di una semplice bevanda.