Uno studio internazionale su 34 popolazioni evidenzia che l’obesità è legata soprattutto alla qualità del cibo e alla diffusione degli alimenti ultra processati, più che alla sedentarietà.
L’obesità viene spesso associata a uno stile di vita comodo, poca attività fisica e abbondanza di cibo. Ma un’ampia ricerca internazionale condotta dalla Duke University di Durham, North Carolina, ribalta questa convinzione, spostando l’attenzione dalla sedentarietà alla qualità dell’alimentazione. I dati raccolti su 4.200 adulti di età compresa tra 18 e 60 anni, appartenenti a 34 comunità distribuite nei sei continenti, mostrano che la diminuzione del movimento incide solo marginalmente sull’aumento del peso corporeo, mentre la presenza crescente di alimenti ultra processati nelle diete gioca un ruolo determinante.
Dalle comunità tradizionali alle metropoli industrializzate
Il gruppo di ricerca ha esaminato popolazioni con stili di vita radicalmente diversi: cacciatori-raccoglitori, pastori, agricoltori e abitanti di grandi città industrializzate. I parametri analizzati comprendevano indice di massa corporea e dispendio energetico quotidiano, messi in relazione con i consumi alimentari e i dati economici dei rispettivi Paesi, valutati anche attraverso l’United Nations Human Development Index (HDI).
Contrariamente a quanto suggerito da decenni di pubblicistica, la transizione verso un ambiente più sviluppato non comporta un calo drastico dell’attività fisica. Secondo i dati raccolti, la riduzione media del consumo calorico dovuta alla sedentarietà varia tra il 6% e l’11%, una quota che spiega solo una minima parte dell’aumento di obesità osservato. Gli autori evidenziano che questa riduzione equivale a circa un decimo dell’effetto complessivo sul peso, e in alcuni contesti la correlazione è poco consistente.
Il quadro cambia radicalmente quando si analizza l’alimentazione: nei Paesi più ricchi, l’apporto calorico totale è significativamente più alto, con una quota crescente di cibi ad alta densità energetica e lavorati industrialmente. Gli ultra processati – ricchi di zuccheri, grassi saturi, sale e additivi – diventano un elemento dominante della dieta quotidiana. La correlazione tra il consumo di questi alimenti e l’aumento della massa grassa risulta diretta e proporzionale.
Ultra processati come driver dell’epidemia di obesità
Il rapporto pubblicato su PNAS indica che il vero acceleratore dell’obesità è il cibo stesso, non tanto la riduzione dell’attività fisica. Gli alimenti ultra processati sono caratterizzati da una composizione che stimola l’appetito e favorisce un’assunzione calorica superiore al fabbisogno reale. Questo tipo di dieta, tipico delle economie avanzate, produce un aumento progressivo del grasso corporeo anche in presenza di un dispendio energetico relativamente stabile.

Gli autori sottolineano che l’attività fisica rimane un fattore chiave per la salute generale: migliora la circolazione, rafforza ossa e muscoli, e contribuisce al benessere mentale. Tuttavia, sul fronte della prevenzione dell’obesità, i dati parlano chiaro: la qualità degli alimenti e la percentuale di ultra processati nella dieta hanno un impatto molto più rilevante.
Le conclusioni dello studio impongono una revisione delle strategie di salute pubblica. Campagne focalizzate esclusivamente sull’aumento dell’attività fisica rischiano di essere inefficaci se non accompagnate da interventi mirati a ridurre la disponibilità e il consumo di cibi altamente trasformati. La sfida, secondo i ricercatori, è ripensare il modello alimentare nelle società avanzate, dove la disponibilità di calorie a basso costo ha superato di gran lunga le necessità energetiche medie.
In sintesi, i risultati confermano che l’obesità è una questione legata soprattutto a come e cosa si mangia. In un mondo in cui l’accesso al cibo è sempre più mediato dall’industria alimentare, la chiave per arginare questa epidemia non risiede solo nel muoversi di più, ma nel cambiare radicalmente ciò che si porta in tavola.