Un’indagine scientifica rivela le principali fonti di microplastiche negli utensili da cucina e nei prodotti per l’infanzia. Scoperti rischi per la salute già dalla nascita.
Le microplastiche non sono più solo un problema ambientale. Sono dentro il nostro corpo, nel sangue, nei polmoni, nello sperma. Ogni settimana, secondo la Commissione europea, ne ingeriamo circa 5 grammi, l’equivalente di una carta di credito. Le principali fonti? Non sempre le più sospette. Alcune arrivano direttamente da ciò che usiamo per cucinare, conservare e bere. Dalle bottiglie in plastica ai taglieri, dalle bustine di tè ai biberon: oggetti comuni che rilasciano particelle invisibili ogni giorno, anche in casa.
Dietro questi dati c’è un’analisi pubblicata su npj Science of Food e firmata dal Food Packaging Forum, centro di ricerca con base a Zurigo. Gli scienziati hanno esaminato 103 studi su articoli a contatto con alimenti, noti anche come Food Contact Articles (FCA), rivelando che molti rilasciano microplastiche già con un uso standard, cioè previsto dal produttore. Non serve scaldare, lavare o bruciare: basta aprire un tappo, versare acqua calda su una bustina o tagliare un pomodoro sul tagliere sbagliato.
I prodotti domestici che contaminano il cibo ogni giorno
I materiali plastici coinvolti nella preparazione e conservazione del cibo sono più numerosi di quanto si pensi. Secondo lo studio, le bottiglie di plastica sono tra le principali responsabili del rilascio di microplastiche. Le particelle si staccano già al momento dell’apertura, soprattutto nella zona del tappo. Subito dopo vengono segnalati contenitori alimentari, pellicole trasparenti, vassoi da take away, utensili e soprattutto bustine di tè. L’infusione ad alte temperature libera miliardi di frammenti di plastica che finiscono direttamente nella bevanda.
Il dato più inquietante riguarda i biberon e gli accessori per neonati. Gli scienziati parlano apertamente di “esposizione sin dalla nascita”. Le microplastiche, una volta ingerite, passano nel sangue, si depositano nei tessuti e resistono ai processi digestivi. Tracce sono state trovate nel midollo osseo, nel latte materno e nella placenta. In alcuni casi, persino nel cervello.
Ma non è tutto. A complicare lo scenario ci sono anche i prodotti che sembrano più sicuri. Le bottiglie in vetro, ad esempio, risultano a volte più contaminate di quelle in plastica, secondo un rapporto dell’agenzia francese ANSES. Il problema starebbe nei tappi, spesso dotati di un rivestimento plastico interno che, se graffiato durante la produzione o il trasporto, rilascia microplastiche nel contenuto.
Cosa succede nel corpo e cosa si può fare davvero
Una volta entrate nel corpo, le microplastiche si comportano come sostanze estranee. Non vengono eliminate facilmente e possono attraversare barriere biologiche. Sono state trovate nel sangue, nei polmoni, nei reni, nello sperma, nel latte materno e perfino nella placenta. Alcuni studi ipotizzano la loro capacità di modificare il microbioma intestinale, generare infiammazione cronica, disturbare la comunicazione ormonale e trasportare inquinanti tossici come metalli pesanti e diossine.

Nonostante queste evidenze, le normative europee non impongono ancora test obbligatori sulla migrazione di microplastiche e nanoplastiche per i prodotti a contatto con alimenti. Un vuoto regolatorio che, secondo gli autori dello studio, andrebbe colmato al più presto. Le aziende alimentari continuano a utilizzare plastica per packaging e trasporto anche dove non è strettamente necessario.
Al momento, la protezione è nelle mani del singolo consumatore. Gli esperti consigliano di eliminare plastica e teflon da utensili e contenitori, usare vetro o acciaio inox, evitare bustine di tè a favore di infusi sfusi, e non riutilizzare bottiglie di plastica. Una particolare attenzione andrebbe riservata a tutti i prodotti per l’infanzia. L’acqua calda, il lavaggio aggressivo e il riscaldamento in microonde accelerano il rilascio di microplastiche.
Le ricerche sull’impatto a lungo termine sono ancora in corso, ma l’accumulo nei tessuti è già una certezza. Come il fatto che queste particelle non scompaiono. Restano nel corpo, silenziose, difficili da misurare. E se anche non vediamo gli effetti nell’immediato, ci sono buone probabilità che siano già in corso.